LUCKIN COFFEE, UN BEL TONFO DI CREDIBILITÀ

riccardo
Questo 2020 sta mettendo a dura prova governi, istituti di ricerca e analisti in tutto il mondo. Non solo pandemia. In particolare, la scossa di terremoto di inizio aprile dalle parti del NYSE ha destato particolari preoccupazioni (molto più dell’incendio scoppiato vicino a Chernobyl a quanto pare) per i portafogli degli azionisti.
Il 2 di questo mese, Luckin Coffee (NASDAQ: LK), famosa start-up del beverage cinese, ha ammesso che alcuni suoi impiegati, con il benestare di una parte della dirigenza, avrebbero commesso una frode stimata a circa 300 milioni di USD, dichiarando falsi volumi di vendita per gran parte dell’anno passato, polverizzando di conseguenza il valore delle proprie azioni di oltre l’80%. Gli effetti di scossoni di questo tipo, si sa, raramente impattano su un’area circoscritta, ma tendono a generare un fallout che si propaga un po’ a tutti i settori.
Ma andiamo per gradi. Ad inizio gennaio la Muddy Waters Research, impresa americana specializzata in investimenti (come ne esistono molte altre, a cui arriveremo tra poco) scommette sul “ribasso” delle azioni di Luckin, la quale, secondo le dichiarazioni twitter del CEO di Muddy Waters, Carson Block, sembrava aver messo mano sulle cifre delle proprie vendite. A distanza di circa due mesi, la start-up denuncia la scoperta, tramite indagini portate avanti da membri indipendenti del board insieme ad enti di controllo esterni, di vendite deliberatamente “gonfiate” per i primi 3 quarti del 2019.
L’impresa isola subito il mandante dell’operazione di falsificazione, Jian Liu, che ricopriva la carica di COO, insieme ad una serie di suoi collaboratori, ed avverte le borse di non basare le proprie analisi sui report pubblicati dal secondo quarto dell’anno passato. Scoppia il caos, le azioni di Luckin Coffee passano da 18 USD a circa 4 USD e ne viene interrotto il trading in attesa di “maggiori spiegazioni”.
Ad ora le indagini continuano, ma l’eco di tale evento si è fatto sentire molto in fretta, generando un’ondata di sfiducia sia nei confronti dei titoli delle imprese cinesi listate all’interno dei mercati azionari americani, sia sguardi inquisitori sulle borse stesse, e sulle loro capacità (o volontà) di vigilare sull’operato delle imprese registrate al loro interno. Qual è stato il risultato di questo pessimismo generalizzato? Speculazione finanziaria e “vendita allo scoperto” (short selling). Altre imprese specializzate in questa particolare tecnica borsistica sono “uscite allo scoperto” con le loro predizioni ed accuse.
È il caso di Wolfpack Research nei confronti di iQiyi (NASDAQ: IQ, piattaforma cinese di video-streaming) accusata di pratiche poco trasparenti, o di Citron Research e Grizzly Research, che puntano il dito contro GSX Techedu (NYSE: GSX), importante società attiva nel settore dell’educazione online, uscita, per così dire, vincitrice, dal blocco anti covid-19 di cui si è resa protagonista la Cina tra gennaio e marzo scorso . 
In cosa si traduce tutto questo clamore? Secondo un’indagine di TechNode, potrebbe essere tutto fumo. Da un lato, numeri alla mano, le imprese cinesi registrate all’interno dei mercati azionari americani sono dei veri e propri colossi, con i valori più alti nei settori di e-commerce ed edtech (tecnologia educativa), guarda caso i due settori che più hanno “tratto beneficio” dalla pandemia tuttora in azione. Dall’altro lato invece, nonostante l’attrito tra Cina e Stati Uniti, questi ultimi rimangono meta di molte IPO cinesi.
I dubbi, ovviamente, rimangono, e quest’ultima ondata di short selling potrebbe alterare in parte la bilancia, già aggravata dalle “contingenze” sanitarie note ormai al pubblico. Che dire, sfiducia nel governo e sfiducia nei mercati, non il più roseo dei bollettini per una compagnia che si era presentata come “l’anti-Starbucks”.

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